L’ECOLOGIA
PROFONDA E LA SCIENZA
di
Guido Dalla Casa
(Movimento
Italiano per l’Ecologia Profonda)
Sommario
L’Ecologia
Profonda non è una specie di “ritorno alle origini” o una ”visione del mondo
nostalgica”, anche se è presente in molte culture umane del passato e tradizioni
spirituali antiche, ma si basa soprattutto sulle conoscenze che derivano da
alcune tendenze della scienza moderna, che non sono ancora riuscite a diventare
“maggioranza” perché richiedono un deciso cambio di paradigma, molto lontano da
quello cartesiano-newtoniano della scienza meccanicista oggi ancora imperante.
Dopo un rapido excursus sulla scienza degli ultimi due-tre secoli, cominciando
dal pensiero di Galileo e Newton, si passa ad esporre alcune tendenze più
propriamente attuali, in cui si evidenzia che il richiamo spirituale
dell’Ecologia Profonda non è un rifiuto della razionalità o una forma di
misticismo, ma una visione del mondo che trae le sue basi da: la Fisica
Quantistica, la Biologia, l’Evoluzione, le Scienze Naturali, la Dinamica dei
Sistemi, gli studi sulla Mente, l’Ecopsicologia, le ricerche sulla mente degli
altri animali. Gli aspetti economici e politici del nostro mondo attuale sono
effetti secondari, conseguenze di un sottofondo filosofico: l’economia è un
piccolo dettaglio dell’ecologia e non viceversa, come è evidente anche
dalla scala dei tempi molto diversa.
Premesse
Agli inizi della scienza moderna, circa tre
secoli fa, la fisica nacque sostanzialmente come meccanica, soprattutto per
opera di Newton. Il pensiero corrente della cultura occidentale è ancora oggi
in gran parte ancorato alla visione del mondo che consegue dall’opera di
Newton, sia per quanto riguarda i concetti di spazio e di tempo, sia perché viene
attribuita ai fenomeni una natura essenzialmente meccanica. Inoltre, alla base
della scienza “ufficiale”, cioè quella che viene divulgata, sta il dogma che il
mondo materiale è oggettivamente esistente, in modo del tutto indipendente dal
mondo mentale-spirituale: la scienza di Newton si inquadra nell’accettazione
incondizionata del dualismo cartesiano.
In altre parole, la scienza è nata assumendo
come premessa ovvia - quindi senza
alcuna garanzia dal punto di vista del metodo scientifico - una particolare
visione del mondo, che avrebbe dovuto essere considerata al massimo come un’ipotesi di lavoro: invece è stata
forzatamente mantenuta fino ai giorni nostri, scartando tutti i fatti che la contraddicevano.
La scienza - nella sua versione ufficiale - resta legata ancora oggi alla
visione cartesiana-newtoniana da cui è nata. Tutto l’universo, compresa la
natura vivente sulla Terra, è assimilabile a una gigantesca macchina smontabile
e ricomponibile: come conseguenza, la natura è priva di ogni rilevanza morale. L’uomo non ne fa parte, ma è qualcosa di
superiore. Così è nata l’aggressione alla Natura, e quindi il problema
ecologico.
E’ stato detto che la metafisica di un’epoca
deriva dalla fisica dell’epoca precedente: in effetti oggi è vigente una
visione del mondo meccanicista e materialista, che consegue dalla fisica
dell’Ottocento e non dalle idee d’avanguardia nate nel secolo Ventesimo. La
scienza stessa oppone fortissime resistenze ad ogni modifica di paradigma, cioè
del quadro generale in cui vengono interpretati tutti i fenomeni.
La relatività è stata in gran parte
accettata, ma la fisica quantistica, la dinamica dei sistemi e i fenomeni
mentali sono ben lontani dal pensiero corrente, spesso anche degli scienziati.
Invece l’atteggiamento della nostra cultura verso il mondo naturale potrebbe
cambiare profondamente se il pensiero corrente accogliesse qualche idea già
oggi presente in queste nuove tendenze, per ora minoritarie. Ad esempio, potrebbe nascere un’etica che comprende
tutto il mondo naturale; questo avrebbe una grande influenza sul problema
ecologico.
Riporto dal libro di Fritjof Capra Il punto di svolta (Ed. Feltrinelli, 1984):
In contrasto con la concezione
meccanicistica cartesiana del mondo, la visione del mondo che emerge dalla
fisica moderna può essere caratterizzata con parole come organica, olistica ed
ecologica. Essa potrebbe essere designata anche come una visione sistemica, nel
senso della teoria generale dei sistemi. L’universo non è visto più come una
macchina composta da una moltitudine di oggetti, ma deve essere raffigurato come
un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti sono essenzialmente interconnesse
e possono essere intese solo come strutture di un processo cosmico.
La fisica classica
Come accennato, la premessa essenziale
della fisica classica che ha resistito come
un dogma fino quasi alla metà del Ventesimo secolo è che esista un mondo
reale e oggettivo di natura materiale dotato di proprie leggi di funzionamento.
Compito dell’osservatore è scoprire queste leggi oggettivamente esistenti. I fenomeni avvengono nello spazio e nel
tempo, entità assolute, indipendenti ed esistenti in sé.
Qualche primo cedimento della visione
puramente meccanica sembrò nascere già nell’Ottocento con la termodinamica e
l’introduzione del concetto di campo.
Ma la termodinamica venne poi spiegata come azione meccanica
statistica-probabilistica e il campo si può interpretare come un artifizio
matematico, nato solo per consentire una semplificazione del calcolo. La
concezione meccanicista imperante ne uscì praticamente rafforzata.
L’unica novità che costituì
nell’Ottocento un primo modesto indebolimento della concezione meccanicista è
stata la teoria della propagazione delle onde elettromagnetiche (equazioni di Maxwell).
Per quanto riguarda la costituzione
della materia, la formulazione della teoria atomica non fece che rafforzare la
visione meccanicistica del mondo: c’erano 92 “palline” e con quelle era
costituita tutta la realtà.
A
cavallo dei secoli 19° e 20° salta fuori la radioattività: gli atomi non sono
indivisibili, sono fatti a loro volta di protoni ed elettroni (in seguito,
anche neutroni). Le “palline” sono più piccole, ma non è cambiato niente: si
tratta sempre di particelle “elementari”, mattoni fondamentali che
costituiscono tutto l’universale. Anzi, sono soltanto di tre tipi.
La relatività
Con la relatività
speciale (1905), spazio e tempo perdono la loro esistenza indipendente ed
assoluta, materia ed energia diventano intercambiabili. Con la relatività generale (1916) anche la
gravitazione entra nel gioco e viene sostituita con la “geometria dello spaziotempo”. Si è ora in grado di formulare leggi
fisiche valide in qualsiasi sistema di riferimento, anche in moto accelerato,
che viene assimilato a un campo gravitazionale. La rivoluzione sembra notevole,
ma siamo ancora ben legati alla visione cartesiana. Materia ed energia sono
state unificate, ma il dualismo principale resta netto: c’è un mondo
energetico-materiale oggettivo, che
viene esplorato da una mente umana separata.
Inoltre si continua a considerare ovvia l’impenetrabilità dei corpi (cioè
il dualismo vuoto-pieno) e la logica
“A non è non-A”. Si continua a dividere ogni problema, ogni cosa, ogni processo
in parti, senza tener conto che qualunque suddivisione risente di qualche
“pregiudizio” e non può essere neutrale e valida universalmente. Le entità
non-quantificabili e non-misurabili sono ancora sostanzialmente negate.
Forse il pensiero corrente ha accettato
l’unificazione energia-materia, ma non è andato oltre. Sempre di entità fisiche si tratta. La mente è un’altra cosa: essa indaga dall’esterno il mondo fisico oggettivo. La mente è sempre soltanto umana: solo qualche “coraggioso” osa
attribuirla anche ad esseri individuali
dotati di sistema nervoso centrale, come gli altri mammiferi superiori.
L’etica
riguarda sempre soltanto chi è “dotato di mente”, cioè gli umani.
Siamo arrivati così ai primi
decenni del ventesimo secolo, quando siamo alle soglie di un cambiamento ancora
più radicale, tuttora in corso.
La fisica quantistica
Come noto, nel 1927 Werner Heisenberg
formulò il suo famoso “principio di indeterminazione”, che inizialmente
riguardava la posizione e la quantità di moto di una particella. Le due
grandezze non sono determinabili esattamente entrambe: in altre parole se vogliamo definirne una, l’altra è
completamente indeterminata. Solo l’osservazione “sceglie” la grandezza da
conoscere. Il principio si applica anche ad altre coppie di grandezze, fra cui
la coppia energia-tempo: se fissiamo un istante esatto, cioè vogliamo che sia nulla l’indeterminazione del tempo,
la “particella” presenta una
massa-energia totalmente indeterminata, il che significa che non è niente di
definibile in alcun modo. Siamo di fronte ad entità il cui contenuto mentale è
a malapena celato dal linguaggio matematico.
Attorno agli anni Trenta ci furono
diversi dibattiti fra i fisici, che culminarono in quella che venne poi
chiamata “l’interpretazione di Copenhagen”,
in base alla quale l’indeterminazione non deriva da una limitazione dei nostri
strumenti o dei nostri sensi, ma è una caratteristica del mondo, è nella natura
delle cose. Non si può separare il fenomeno dall’osservazione, non esiste
alcuna realtà oggettiva. Il dualismo mente-materia è scomparso: non si possono
separare.
Come noto, Erwin Schroedinger arrivò
agli stessi risultati di Heisenberg e riuscì a formulare l’equazione che porta
il suo nome: si tratta di un’equazione differenziale che descrive l’andamento
nel tempo della probabilità di
trovare una “particella” in una determinata posizione. E’ qualcosa di piuttosto
evanescente e sfumato, ma comunque siamo ancora in grado di descrivere un
andamento nel tempo. E’
l’osservazione che fa “collassare” la probabilità in “certezza”: in un certo
senso siamo di fronte al tentativo di ridare importanza all’uomo, dopo tre o
quattro secoli dalla rivoluzione copernicana. Per qualcuno si è tornati
all’antropocentrismo, con una sorta di megalomania dell’osservatore. In questa
direzione sorgerà più tardi anche il principio
antropico, in base al quale sembra che l’universo sia fatto per l’uomo: tuttavia il ragionamento si può ripetere anche per
la marmotta, una montagna o un torrente. Ciascuna entità può vedere l’Universo
come “fatto per sé”.
Inoltre, l’indeterminazione applicata al binomio massa-tempo
(o energia-tempo) portò a formulare il concetto di vuoto quantistico: non esiste alcuna particella né entità stabile,
c’è solo una specie di vacuità creativa, una danza di energie che continuamente
nascono nell’essere e svaniscono nel nulla. Il dualismo vuoto-pieno è scomparso. “A”
e ”non-A” possono coesistere. Non esiste alcun “mattone fondamentale” della
materia.
La sistemica e gli esseri
collettivi
Nella seconda metà del Novecento lo studio della
dinamica dei sistemi portò a formulare le idee di sistema complesso e di essere
collettivo. In particolare, un sistema che abbia un certo grado di
complessità si evolve in modo da divenire completamente
imprevedibile, anche in linea di
principio: infatti si trova ben presto in qualche biforcazione-instabilità,
dopo la quale prenderà vie completamente
diverse anche per variazioni infinitamente
piccole nella storia precedente. La sua
evoluzione non è prevedibile neanche in termini probabilistici.
Dopotutto,
anche l’equazione di Schroedinger descrive l’andamento di “qualcosa” (una
probabilità) che si evolve nel tempo e quindi consente una “previsione”:
invece, con il nuovo approccio, il sistema diventa completamente imprevedibile
e indeterminato anche in linea teorica, dopo un tempo finito.
Tornando alla fisica quantistica,
l’osservazione fa parte del sistema: è una biforcazione-instabilità nel sistema
stesso. La megalomania dell’osservatore è scomparsa (Prigogine). Ne consegue una considerazione interessante: la mente è pressoché onnipresente nei
fenomeni naturali. E’ forse superfluo ricordare che la mente non comporta necessariamente
la coscienza, ma questo non ci turba
per niente dopo un secolo di psicoanalisi.
Dal
libro di Fritjof Capra Verso una nuova
saggezza (Ed. Feltrinelli, 1988): Secondo Bateson la mente
è una conseguenza necessaria e inevitabile di una certa complessità, la quale
ha inizio molto tempo prima che degli organismi viventi sviluppino un cervello
e un sistema nervoso superiore. Egli sottolineò anche che caratteristiche
mentali sono manifeste non solo in singoli organismi, ma anche in sistemi
sociali e in ecosistemi, che la mente è immanente non solo nel corpo ma anche
nelle vie e nei messaggi fuori dal corpo. Una mente senza un sistema nervoso?
La mente si manifesterebbe in tutti i sistemi che soddisfano certi criteri? La
mente sarebbe immanente in vie e messaggi fuori dal corpo? Queste idee erano
così nuove per me che, a tutta prima, non riuscii a dar loro un senso. La
nozione di mente di Bateson non sembrava aver nulla a che fare con le cose da
me associate alla parola “mente”.
Se preferite, non è un sistema di energia-materia che si evolve,
ma un ente ternario Mente-Energia-Materia. La mente è ovunque. Questo porta a concezioni non-antropocentriche, ad un sottofondo
di pensiero animista-panteista.
Un esempio tipico di sistema complesso è
l’atmosfera terrestre: infatti i fenomeni atmosferici sono completamente
imprevedibili, anche solo in linea di principio, dopo tempi molto limitati, a
causa del cosiddetto effetto-farfalla,
che corrisponde alla “scelta” del sistema in una biforcazione-instabilità. Il battito d’ali di una farfalla nella
campagna inglese può causare un ciclone nei Caraibi.
L’emergenza del fenomeno mentale nell’evoluzione
di un sistema fa cadere il feticcio della riproducibilità:
il sistema complesso, anche con tutte le premesse e le predisposizioni fisiche
energetiche-materiali identiche, ha in generale andamenti diversi caso per
caso. Il concetto di “condizioni
rigidamente controllate” perde ogni significato.
Parlare di caso quando un sistema prende una via o l’altra in una
biforcazione-instabilità e parlare di scelta
o volontà o libero arbitrio quando
c’è di mezzo il cervello umano è
soltanto conseguenza di un pregiudizio culturale. In realtà non c’è alcuna
differenza e possiamo benissimo dire che il sistema sceglie la via fra le varie possibilità: in tal mondo riconosciamo
una psiche immanente in ogni processo. Il sistema sceglie uno dei suoi futuri
possibili. La creazione non è più
qualcosa avvenuta in un lontano passato, ma un processo immanente continuo.
Negli ultimi decenni, soprattutto per
opera del gruppo condotto da Ilya Prigogine, lo studio delle “strutture dissipative”
in stato stazionario ha mostrato che in situazione di non-equilibrio si
manifesta un “desiderio” di creare strutture, una spinta alla diversificazione
e alla creazione: l’organizzazione si manifesta spontaneamente. I sistemi
viventi sono casi particolari molto vivaci di strutture dissipative. Nella
fisica classica le leggi di natura erano considerate rigide, mentre ora diventano
probabilistiche ed esprimono ciò che è probabile e non “certo”. Contengono
sempre un certo grado di libertà, di “libero arbitrio” o di aspetto mentale.
Seguendo questa scuola di pensiero, ci
troviamo in un mondo naturale fatto di entità mentali, senza alcun confine
preciso: le entità umane sono solo componenti. In tal modo l’etica deve riguardare tutta la Natura.
Qualche esempio
Esistono numerosi esperimenti rigorosi da cui risulta che, anche isolando e
schermando al loro interno gruppi di termiti di un termitaio da tutti i campi conosciuti possibili, quegli insetti sono in grado di realizzare la
struttura del termitaio con precisione ultramillimetrica, da ogni parte degli
schermi. E’ come se esistesse un unico piano ben preciso, non supportato da
nessun campo energetico di alcuna natura. Inoltre ogni termite percepisce istantaneamente qualsiasi turbativa
venga data al termitaio a qualunque distanza si trovi e al di là di qualsiasi
tipo di schermatura. E ciò accade anche se le singole termiti provengono in
origine da termitai diversi, purchè, al momento dell’esperimento, il nuovo
termitaio - come entità - sia già
stato costituito. L’ipotesi più logica è semplice: il termitaio ha (o è) una mente. In altri termini: le termiti di un termitaio sono emotivamente collegate da continui scambi telepatici istantanei.
La scienza ufficiale cartesiana se la cava dando l’etichetta di misticismo a ciò che contraddice le sue
premesse dogmatiche.
Il termitaio è solo un esempio che si può applicare a tante altre entità, come una specie, una cultura, un
ecosistema, una società, una cellula, un albero, la Biosfera.
Un ecosistema è un sistema complesso dotato
di mente. E’ per questo che essere immersi in una foresta naturale ci dà una
notevole emozione: c’è uno scambio mentale-emotivo. Forse va interpretato in
questo senso anche il tentativo di molte culture native del continente
americano di immettersi nel sistema atmosferico, complesso e quindi mentale, per ottenere precipitazioni attraverso
la danza della pioggia, che naturalmente qualche volta riusciva e qualche volta
no.
La
Biosfera
Per usare il linguaggio
della teoria dei sistemi, un essere
vivente è un sistema che si mantiene in situazione stazionaria lontana
dall’equilibrio termodinamico. In altre parole, vive finché un flusso di energia lo attraversa continuamente senza
che si alterino le sue condizioni generali, se si trascurano le piccole
oscillazioni: la Biosfera nel suo
complesso si comporta come un unico organismo vivente, anche se in
generale su tempi molto lunghi. Se si considerano tempi
dell’ordine di decenni, o secoli, e non geologici, la Terra è stazionaria: il
problema sta nel fatto che le modifiche causate dallo sviluppo economico nei
cicli naturali hanno velocità dieci-centomila volte più grandi di quelle
normali, che consentono alla vita di adattarsi gradualmente alle nuove
situazioni.
La crescita economica
continua è un processo che impedisce il funzionamento della Biosfera perché ne
disarticola i cicli: è quindi un fenomeno impossibile. Un’economia complessivamente in crescita può soltanto essere un transitorio, un fenomeno
patologico che - se non arrestato rapidamente - porta necessariamente verso un
punto “di collasso”.
Anche l’idea che lo sviluppo economico costituisca
sempre un miglioramento non ha validi
fondamenti: è probabile che, se si potesse disegnare un diagramma che riporta
l’andamento del benessere psicofisico (anche soltanto umano, o di una
particolare cultura) in funzione dei consumi materiali o degli oggetti a disposizione,
non si avrebbe una funzione sempre-crescente, ma una specie di curva a campana.
Ad una certa quantità di beni materiali la funzione raggiunge un massimo: il
corrispondente valore di consumi è già stato abbondantemente superato in tutto
il mondo occidentale. Un ulteriore aumento peggiora la qualità della vita. Se
poi mettiamo in conto anche la bellezza del mondo e il benessere degli altri
esseri senzienti, la situazione si aggrava ulteriormente.
Ci si può rendere conto di questo fatto
se si pensa a una qualunque località rivisitata a distanza di qualche decennio:
la si troverà inesorabilmente peggiorata, sia sul piano naturale, sia dal punto
di vista estetico ed umano.
E’ forse superfluo ricordare il totale fallimento sul piano
ecologico dello “sviluppo di Stato” un tempo perseguito nell’Est europeo, in
cui il materialismo era addirittura portato al rango di metafisica ufficiale.
Economia e popolazione umana
Il sistema economico, cioè il processo produrre-vendere-consumare,
si può ricondurre ad un unico parametro: il denaro. Il sottosistema economico
non può integrarsi in un sistema complesso come la Biosfera, in stato
stazionario e con un gran numero di variabili. La crescita economica in
sostanza impedisce l’omeostasi della Biosfera, che perde la sua capacità di
mantenersi in condizioni vitali. In un sistema vivente questo significa la
morte. A maggior ragione, se pensiamo che il sistema economico debba essere in crescita continua, la fine è sicura.
Un
sistema economico in crescita permanente può essere solo un breve transitorio,
un fenomeno patologico della Biosfera che conduce ad un punto di collasso. Questa
è una posizione ottimistica: il vero pessimismo è pensare che la crescita continui
per lungo tempo, perché questo significherebbe un mondo terribilmente degradato. L’uomo non evita mai le catastrofi, ne
guarisce: speriamo che sia vero.
E’ davvero sorprendente notare che ci sono
pochissime ricerche su un problema come quello del numero massimo di umani che
la Terra può supportare: come esempio, nel libro Assalto al pianeta di Pignatti e Trezza (Bollati
Boringhieri, 2000) il numero massimo è valutato in meno di due miliardi di
individui, in accordo con uno studio precedente dell’Università Cornell. In uno
scenario del noto rapporto I limiti dello
sviluppo (1972) era possibile raggiungere uno stato stazionario soltanto se
la popolazione umana si fosse stabilizzata attorno all’anno 1975, che
corrisponde a un numero di umani di tre-quattro miliardi con un livello di
consumi pro-capite minore di quello attuale. Sette miliardi di umani possono
restare sul Pianeta solo per tempi molto limitati, perché vivono solo
“divorando la Terra”.
Il libero arbitrio
L’idea tradizionale, propria delle istituzioni
religiose nate nell’area medio-orientale e di una corrente della scienza, è che
l’uomo sia dotato di libero arbitrio, mentre il resto del mondo naturale
(compresi tutti gli altri animali!) sarebbe soggetto alle rigide leggi fisiche.
Un’altra corrente della scienza “ottocentesca” (il determinismo) non lascia
alcuna libertà a nessuno.
Penso che
si tratti di posizioni piuttosto
insostenibili.
Secondo
una corrente attuale del pensiero scientifico-filosofico c’è qualche segno di
libertà in tutti i processi naturali: ci sarebbe un po’ di libero arbitrio
ovunque, anche se in quantità diverse.
Ogni entità naturale, ogni processo,
ogni sistema complesso, ha un suo grado di libertà, potendo scegliere la via da
prendere ad ogni biforcazione-instabilità. Il fatto di attribuire “al caso” la
via presa dal sistema dopo la biforcazione o “a una libera scelta” quando c’è
di mezzo il cervello umano, è soltanto un pregiudizio culturale.
Solo la quantità di tale facoltà è
diversa da caso a caso. Secondo la visione detta “del cane al guinzaglio”:
tutte le entità (noi compresi) hanno un
guinzaglio, più o meno lungo, in mano alle forze sistemiche, che non sono
soltanto fisiche o energetico-materiali, ma anche mentali. Per usare
un’espressione di Bateson:
“…Se volete, potete chiamare Dio le forze
sistemiche.”
Il cane può talvolta far cambiare
completamente direzione a chi tiene il
guinzaglio, se a un bivio si dirige da una parte piuttosto che
dall’altra.
Come esempio, il grado di
imprevedibilità che si manifesta in diverse comunità di insetti, di mammiferi o
di uccelli, non è molto diverso da quello dei gruppi umani. Inoltre le società
di molte specie sono notevolmente strutturate. Ma anche molti sistemi complessi
non viventi presentano notevoli gradi di imprevedibilità.
Comunque, se c’è qualche differenza fra umani
e altri animali, è di natura quantitativa. L’uomo è un animale: anche l’etica
deve tenerne conto quando si occupa degli altri esseri viventi, e senzienti.
Una nuova Etica
Seguendo le scuole di pensiero
sopra accennate, ci troviamo in un mondo con entità mentali, senza alcun
confine preciso, di cui gli umani sono solo componenti: quindi l’Etica deve
riguardare tutta la Natura. Questa idea è presente in molte filosofie di
origine indiana (Buddhismo e Jainismo), dove l’etica riguarda non
soltanto gli umani, ma anche gli altri esseri e le entità naturali. L’emergenza
di fenomeni mentali rende un sistema complesso degno di considerazione etica.
Gli altri viventi, una foresta, una palude, un termitaio, una specie sono entità dotate di mente: partendo da un altro approccio, già lo psichiatra junghiano James Hillmann (Autore, fra molti altri libri, di Politica della bellezza e Il piacere di pensare) parlava della nostra immersione nell’Anima del mondo.
Gli altri viventi, una foresta, una palude, un termitaio, una specie sono entità dotate di mente: partendo da un altro approccio, già lo psichiatra junghiano James Hillmann (Autore, fra molti altri libri, di Politica della bellezza e Il piacere di pensare) parlava della nostra immersione nell’Anima del mondo.
L’etica
richiede una sorta di empatia verso tutte le entità naturali.
E’ evidente che si può parlare di mente
associata al sistema totale, ovvero a
tutta la Biosfera: abbiamo così ritrovato l’idea di Gaia già teorizzata da altri scienziati (Lovelock, Margulis, Sheldrake). E’ chiaro che ci siamo
portati su posizioni ben lontane dall’idea tradizionale dell’uomo che studia
dall’esterno e manipola a suo piacimento un mondo fatto di materia-energia. La
distinzione fra mondo energetico-materiale, al servizio della nostra specie, e
mondo mentale-psichico-spirituale, che un tempo era considerato - nella cultura
occidentale - come esclusiva umana, si è dissolta. Qui siamo molto lontani
anche dall’idea che la mente sia soltanto “il prodotto” di un sistema nervoso
centrale. “…E Gregory ammise che la Mente associata al Sistema Totale era
molto simile all’idea di un Dio immanente” (da un libro di Fritjof Capra).
Ma la mentalità corrente e il mondo ufficiale
restano su una posizione “ottocentesca”, quella di un universo meccanico in cui
solo l’essere umano, dotato di mente-anima, ha diritto a considerazione morale!
Invece
il filone di pensiero che abbiamo seguìto ci dà la speranza di ritrovarci in un
mondo che riscopre lo spirito dell’albero, della palude, del torrente.
L’etica del lavoro e l’etica della Terra
Di
solito nel nostro mondo si è formata l’idea che il lavoro sia sempre qualcosa
di positivo, da premiare indipendentemente da ogni altra considerazione.
Così
si pensa che chi lavora di più debba automaticamente guadagnare di più, che in
sostanza sia più bravo di chi lavora
di meno: il lavoro ha acquistato un valore etico in sé, anche se si tratta di
lavoro che danneggia l’intero Organismo terrestre o contribuisce a qualche
patologia della Biosfera. Solo recentemente si è cominciato a considerare
negativa almeno la produzione di sostanze inquinanti, limitando però l’esame ad
ogni singolo processo locale, come se fosse possibile isolarlo.
Non si è mai tenuto come valore etico
il mantenimento in condizioni vitali della Biosfera terrestre, oppure degli
ecosistemi di cui il processo fa parte. Non si è neppure considerato il danno,
se non in tempi recentissimi e limitatamente a specie rare, arrecato ad altre
specie viventi o a processi naturali. In sostanza, è mancata la percezione
della non-separabilità di ogni processo lavorativo umano dall’ecosistema
globale. E’ invece indispensabile avere sempre presente questa percezione,
tenere come primo valore l’etica della
Terra.
L’Ecopsicologia
Alla fine del ventesimo secolo ha
cominciato a delinearsi una disciplina nuova, che collega il malessere
esistenziale umano alla degradazione dell’Ecosistema terrestre e riconosce che
anche la psiche umana è un prodotto della Terra. Noi siamo la Terra!
Il collegamento fra la mente collettiva,
gli stati psichici individuali e la condizione ecologica è molto reale, anche
se ben pochi ci hanno mai pensato, almeno per ora.
La psicologia ha bisogno di riconoscere di non poter più
curare la psiche umana senza collegare il malessere della mente con il degrado
dell’ecosistema. L’ecologia a sua volta deve riconoscere l’importanza di una
salute partecipativa della mente umana per far cessare la degradazione del
Complesso Terrestre. Occorre risvegliare il nostro inconscio ecologico, che
richiama l’inconscio collettivo di Jung, occupandoci anche dei nostri equilibri
interiori.
C’è spesso una
mancanza di psicologia nell’attuale strategia ambientalista, che insiste con
campagne improntate sulla colpevolizzazione: così facendo si attivano meccanismi
di difesa a livello psichico che producono l’effetto opposto perché sollevano
più ansia di quanta molte persone siano pronte a gestire. Spesso la reazione
della psiche davanti a novità sgradite o a un eccesso di ansia è la negazione.
Secondo l’ecopsicologia,
è necessario emancipare l’ecologia da semplice branca della biologia dalla
quale è nata a una scienza delle relazioni e dell’insieme. L’eccessivo
specialismo sta portando alla perdita della consapevolezza che siamo in
presenza di un malessere complessivo, della Terra e della nostra specie. Il
senso del nostro stare al mondo è dato anche dall’estrema brevità della nostra
presenza in confronto all’esistenza di tutta la Vita sulla Terra: quello che ci
ha preceduto per così lungo tempo dà un significato alla nostra stessa vita.
La situazione è
tale che non possiamo permetterci di aspettare che la soluzione venga
dall’alto, che venga proposta o imposta dalle autorità.
Ritrovare
l’attenzione, il rispetto e l’amore per la Natura, come conseguenza della
consapevolezza che ne siamo parte integrante, vuol dire ridare senso alla
nostra vita attraverso un percorso multidisciplinare che comprende psicologia,
ecologia, filosofia e antropologia, lavorando con tecniche psicologiche,
meditazione, attività creative, passeggiate nella natura e antiche tecniche
sciamaniche.
L'ecopsicologia,
rifacendosi a una concezione sistemica della realtà, propone una nuova visione
del rapporto uomo-natura e la traduce in strategie concrete applicabili in ambito
terapeutico, educativo, formativo, ambientalista e comunicativo per favorire il
risveglio della consapevolezza di essere tutti rami dello stesso albero.
Le sue applicazioni concrete
sono un arricchimento con nuovi spunti di riflessione, nuove forme di
divulgazione della sensibilità ecologica nelle scuole, nella formazione
aziendale, nelle associazioni e in ambiti comunitari e ricreazionali.
Sintetizzando alcuni pensieri di Joanna
Macy, che è una delle fondatrici della nuova disciplina, possiamo dire che:
-
Il nucleo della mente è l’inconscio ecologico. La repressione dell’inconscio
ecologico è la radice profonda della follia insita nella società industriale.
Ritrovare l’accesso verso l’inconscio ecologico vuol dire ritrovare la via
verso la salute psicofisica dell’individuo, della società e dell’ecosistema;
-
Siamo parte integrante del mondo in cui viviamo tanto quanto i fiumi e gli alberi, intessuti
dello stesso intricato flusso di materia-energia-mente.
Intervista a Konrad Lorenz
Einstein diceva che è più facile spezzare un atomo che un
luogo comune. Chi mai riuscirà a spezzare il luogo comune che nega agli animali
non solo l’intelligenza, ma anche la capacità di soffrire o di amare? Dinanzi
al commovente episodio del gorilla che accarezza il bambino caduto nella sua
gabbia non si sa fare altro che parlare di istinto, come se le scimmie fossero
degli automatismi per la salvaguardia dei ragazzini sbadati. E se nella gabbia
fosse caduto un adulto, per esempio un teologo o un filosofo dell’istinto, il
gorilla si sarebbe comportato in maniera altrettanto gentile?
Ho conversato a lungo, su questi argomenti, con Konrad
Lorenz, padre dell’etologia moderna. Alla domanda se anche gli animali siano
consapevoli, con il tono passionale e affascinante che lo distingue, risponde:
“Nessuna persona seria dovrebbe dubitare
di questo. Sono pienamente convinto, dico pienamente, che gli animali hanno una
coscienza. L’uomo non è il solo ad avere una vita interiore soggettiva”. E
aggiunge che l’uomo è troppo presuntuoso, troppo preso di sé. Naturalmente,
dice ancora il grande scienziato, il fatto che gli animali abbiano una
coscienza “solleva dei problemi”.
Forse l’uomo ha paura di fare altri passi in questa logica: riconoscendo una
vita interiore agli animali, sarebbe costretto a inorridire per il modo con cui
li tratta.
Lorenz mi ha parlato anche dell’infallibilità con cui
gli animali conoscono subito le intenzioni di chi sta loro di fronte. Ma non
c’è bisogno di scomodare tanta autorità, per commentare l’episodio del gorilla
in questione. Solo una mente rozza o malata di dogmatismi, potrebbe dubitare
delle buone intenzioni dell’animale. E i cani di Vienna, compresi quelli di
Lorenz, non sono mai minacciosi per istinto o perché capiscono che la gente li
ama e non farebbe loro mai del male?
In fondo l’etologia va confermando quello che Giordano
Bruno aveva intuito con il suo genio filosofico, e cioè che tutti gli esseri
viventi sono fenomeni diversi di un’unica sostanza universale. Traggono dalla
stessa radice metafisica e la loro differenza è quantitativa non qualitativa o,
per usare il linguaggio di Kant, fenomenica non noumenica. L’intelletto, che
serve a intuire la relazione delle cose tra di loro, è comune, sia pure
proporzionato ai bisogni, a tutti gli esseri viventi. Questo insegnano i grandi
pensatori, a incominciare da Schopenhauer, e questo sostiene, in ultima
analisi, Lorenz.
Sarebbe pura cecità considerare l’uomo come qualche cosa
di completamente avulso dal resto del regno animale. La scoperta che gli
animali mentono - per esempio i gracchi alpini e corallini, ma Lorenz mi ha
parlato anche di altri animali - e quindi sono capaci di astrazione ha fatto
cadere perfino il dogma che solo l’uomo avesse la facoltà di riflettere in abstracto.
La filosofia occidentale è troppo impregnata di teologia.
Lo riconosceva perfino Nietzsche, che pure parlava e predicava come un prete
capovolto. Il male è già all’inizio: “Crescete
e moltiplicatevi, e popolate la terra, ed assoggettatevela, e signoreggiate i
pesci del mare e i volatili del cielo, e tutti gli animali che si muovono sulla
terra.” Signoreggiate, cioè
opprimete, tormentate e uccidete tutti gli altri esseri viventi: parla così, un
Dio? E non poteva anche risparmiarsi queste parole, dopo aver creato un essere
malvagio come l’uomo? Lorenz, sia pure dopo una disamina di carattere storico,
definisce “satanico” un simile
comandamento.
Quale penoso contrasto con le sublimi parole che Buddha
rivolse al suo cavallo quando lo lasciò libero: “Và! Anche tu, un giorno, sei
destinato al nirvana”.
Questo episodio faceva tremare di commozione Schopenhauer
e Wagner, ma non impressiona minimamente la corteccia cerebrale dei nostri
filosofi-teologi. A loro è più congeniale Cartesio, che considerava gli animali
delle semplici macchine.
Vicino a Lorenz si respira meglio
sia scientificamente che moralmente. Proprio perché ha scandagliato come nessun
altro la vita interiore degli animali, sa anche quale responsabilità morale
questo comporti…. (Anacleto Verrecchia, “La Stampa”, 8 settembre 1986)
Studi recenti sulla mente
animale
I brani che seguono sono riportati
dall’articolo “Minds of their Own – Animals are smarter than you think” (La loro mente – Gli animali sono più
intelligenti di quanto crediate) di Virginia Morell, pubblicato sul numero
di marzo 2008 del National Geographic, sulla cui copertina l’articolo è
annunciato con il titolo “Inside Animal Minds” (Nella
mente animale).
L’articolo è una sintesi dei risultati di
trent’anni di studi sulla mente, sul comportamento e sulle capacità di
apprendimento di molti esseri senzienti non-umani da parte di Irene Pepperberg
ed altri scienziati. La Pepperberg iniziò il suo progetto nel 1977: si portò in
laboratorio un pappagallo africano di nome Alex con l’intento di insegnargli la
lingua inglese.
“Quando la Pepperberg cominciò a dialogare
con Alex, che è morto a 31 anni lo scorso settembre, erano molti gli scienziati
che credevano che gli animali non fossero in grado di pensare. Gli animali erano
macchine, robot, programmati per reagire in modo elementare a stimoli esterni,
ma non erano in grado di pensare né di provare emozioni”.
Ancora trent’anni fa, dopo
quasi due secoli che conoscevamo l’Unità della Vita e sapevamo qual’è la posizione della nostra
specie nel mondo naturale, erano diffuse idee simili! Ma leggiamo qualche brano
dell’articolo:
“Alex contava, riconosceva colori, forme
e dimensioni, aveva un’elementare nozione del concetto di zero”.
“Per
Alex le mele hanno un sapore simile alle banane, ma somigliano alle ciliegie;
così si è inventato questo nome: ci-nana”.
“Gli
scimpanzé, i bonobo e i gorilla sono capaci di apprendere il linguaggio dei
segni e di utilizzare simboli per comunicare con noi. Il bonobo Kanzi porta con
sé una lavagna piena di simboli che
gli permette di “parlare” ai ricercatori, e ha inventato, per esprimersi, nuove
combinazioni simboliche”.
“Azy
(un orango) ha una ricca vita interiore. Cognitivamente gli oranghi sono sullo
stesso piano delle scimmie africane, e in certi compiti le superano. Oltre a
comunicare i suoi pensieri con i simboli di una tastiera, Azy mostra anche una
“teoria della mente” (cioè comprende il punto di vista di un altro), e fa
scelte logiche che dimostrano una notevole flessibilità mentale”.
“Le
pecore, come i primati, sanno riconoscere facce diverse (circa 50 pecore e 10
umani) e le ricordano per due anni”.
“Oggi
un ampio numero di studi indica che l’intelligenza è una dote flessibile, e le
sue radici nel mondo animale sono estese e profonde”.
“Non
siamo i soli a saper inventare, a pianificare le nostre azioni, ad avere
un’immagine di noi stessi; e neppure i soli a mentire e ingannare”.
“L’intelligenza
è un albero dalle mille ramificazioni: non ha un tronco unico che punta solo
nella nostra direzione”.
“Dotati
di un grosso cervello e agili tentacoli, i polpi sanno bloccare le loro tane
con delle rocce, e si divertono sparando acqua a bersagli come bottiglie di
plastica o ai ricercatori”.
“Kanzi, un bonobo, da
piccolo ha imparato a comunicare spontaneamente osservando gli scienziati che
addestravano sua madre. A 27 anni, questo bonobo “parla” grazie a più di 360
simboli di tastiera, e capisce il significato di migliaia di parole dette a
voce. Kanzi sa formulare delle frasi, eseguire nuove istruzioni, e fabbricare
strumenti di pietra, cambiando tecnica a seconda della durezza del materiale.
Crea strumenti come quelli dei primi umani”.
“Le
ghiandaie sanno ragionare: sapendo di essere ladre, spostano le provviste di
cibo se un’altra ghiandaia le osserva; pianificano i pasti futuri, e nel fare
provviste tengono conto dei bisogni futuri piuttosto che della fame del
momento”.
“I delfini hanno ottima
memoria, estro creativo e capacità linguistiche; sono versatili, sia dal punto
di vista cognitivo che comportamentale. Hanno un grande cervello generalista,
proprio come noi. Modificano il proprio mondo per rendere possibili nuove
cose”.
Un pinguino
Nel corso del
2007 un pinguino di Magellano, inanellato presso la Terra del Fuoco, è stato
ritrovato presso una colonia di pinguini di Humboldt, sulle coste del Perù, cinquemila
chilometri più a Nord. Quel pinguino ha nuotato per cinquemila chilometri! La
notizia era all’interno di un quotidiano, che nelle prime pagine era pieno
delle solite fesserie umane. L’articolo diceva che probabilmente il pinguino
“si era perso”. La notizia era presentata come una “curiosità” o una cosa
“strana”, come al solito. I mezzi di informazione presentano quasi sempre i
fatti che manifestano una non-discontinuità di comportamento fra la nostra e le
altre specie come “incredibili”!
E’ invece perfettamente logico che gli altri esseri
senzienti più simili, in particolare mammiferi e uccelli, abbiano comportamenti
che richiamano quelli umani.
I pregiudizi
culturali, che mantengono un assurdo e ingiustificato abisso fra la nostra
specie e gli altri animali, sono davvero duri a morire, e gli scienziati
meccanicisti-cartesiani non sono da meno. La spiegazione più logica è che il
pinguino era un esploratore, aveva saputo dai suoi genitori e nonni che i loro
antenati avevano risalito la corrente di Humboldt fino alle coste del Perù e
alle isole Galapagos, dove avevano dato origine a due nuove specie (o
sottospecie): era andato a cercare i discendenti di quegli antenati, partiti
qualche milione di anni prima, e poi differenziati con la lontananza
prolungata. Ma si fa così fatica a pensare una cosa così logica? Occorre sempre
pensare all’”istinto” o all’ipotesi che “si era perso”? Come disse Einstein, “e’ più facile spezzare
l’atomo che un pregiudizio”. Sostenere poi che l’uomo ha “l’intelligenza”
mentre gli altri animali hanno soltanto “l’istinto” è una vera e propria
amenità, forse ancora oggi sostenuta da qualche istituzione.
Sacralità della Terra
Un’idea di fondo della nostra civiltà è quella che
competizione e selezione siano una specie di “molla del progresso”, il solo
modo con cui procede l’evoluzione. Quando, nel diciannovesimo secolo, comparve
in Occidente l’idea dell’evoluzione biologica, furono messi in evidenza
soprattutto la lotta per la vita e la sopravvivenza del più adatto. Ma la
novità essenziale doveva essere la completa appartenenza della nostra specie
alla Natura, con la necessità di conformarsi ad Essa. L’accento sulla
sopravvivenza del più adatto come fattore di progresso non era un’evidenza
biologica, ma una richiesta della nascente civiltà industriale. Alcuni studi
recenti di Lynn Margulis hanno
evidenziato che l’evoluzione è stata soprattutto il frutto della cooperazione
fra esseri unicellulari per un miliardo di anni. Competizione e selezione sono
soltanto un fattore fra tanti.
Oltre
che essersi posto al di fuori e al di sopra della Biosfera, l’uomo occidentale ha tolto l’Anima al Mondo. Ma, come
abbiamo visto, anche nella nostra cultura, alcuni pensatori hanno ampliato il
concetto di mente fino a renderlo
indipendente da un sistema nervoso centrale: la mente diventa semplicemente la
conseguenza di un certo grado di complessità. Lo psichiatra junghiano James Hillmann parla spesso dell’Anima del Mondo. Queste idee sono poco
diffuse. Ma le religioni potrebbero avere un influsso ben più grande sulle
masse di quanto possa fare il pensiero di qualche isolato filosofo. Uno dei
compiti principali delle religioni dovrebbe essere quello di dare visioni del
mondo e prescrizioni etiche che non riguardano solo problemi a breve scadenza o
questioni umane, ma soprattutto indicare come mantenere la Terra in buona
salute: questo non può essere un compito della politica o di istituzioni
“pratiche”.
Le
religioni dovrebbero diffondere l’empatia e l’amore verso gli esseri senzienti,
cioè verso tutte le entità naturali, e non preoccuparsi troppo di stabilire
qual’è “la verità”. Una citazione da un
libro di Sheldrake:
Che
cosa cambia se consideriamo la natura viva piuttosto che inanimata? Primo,
mettiamo in crisi le ipotesi umanistiche su cui la civiltà moderna è basata.
Secondo, instauriamo un rapporto diverso con il mondo naturale e acquistiamo
una prospettiva diversa della natura umana, Terzo, diventa possibile una nuova
sacralizzazione della natura.
(Rupert Sheldrake, La rinascita della Natura)
Da quanto detto sopra, è evidente che, per
avere un profondo senso del sacro, non è necessaria l’idea occidentale di un
Dio personale ed esterno al mondo, che
si occupa solo degli umani, come nelle tradizioni nate nel Medio Oriente.
La religione è una
caratteristica umana?
Lascio
la parola a Jane Goodall, che ha trascorso 40 anni con gli scimpanzé:
Nel profondo della foresta di Gombe c’è una
spettacolare cascata. Talvolta, mentre gli scimpanzé si avvicinano e il rombo
dell’acqua che cade si fa più intenso, il loro passo si affretta, i peli si
rizzano dall’eccitazione. Quando raggiungono il corso d’acqua mettono in atto
scene magnifiche, alzandosi in piedi, ondeggiando ritmicamente da un piede
all’altro, sbattendo le zampe nell’acqua bassa e in corsa, raccogliendo e
lanciando grosse pietre. A volte salgono sulle liane che penzolano dall’alto e
fanno l’altalena fra gli spruzzi dell’acqua che cade. Questa “danza della
cascata” può durare dieci o quindici minuti, dopodiché può accadere che uno
scimpanzé si sieda su una roccia, con gli occhi che seguono il percorso
dell’acqua. Che cos’è, quest’acqua? Continua ad arrivare, continua ad
allontanarsi, eppure c’è sempre.
Probabilmente gli scimpanzé provano
un’emozione simile a una meraviglia o ad un riverente rispetto. Se hanno un
linguaggio parlato, se possono discutere delle emozioni che innescano queste
magnifiche scene, ciò significa che hanno una religione animistica “primitiva”.
La
cascata è sempre stato il luogo più spirituale di Gombe, e ora sappiamo che era
considerata un luogo sacro dal popolo che vi viveva un tempo, un luogo in cui
gli uomini-medicina eseguivano cerimonie una volta all’anno. Mi
chiedo se non abbiano mai osservato, come rapiti, le danze selvagge degli
scimpanzé.
Conclusioni
L’evoluzione del
pensiero che abbiamo seguito scegliendo una certa sequenza di idee che ci ha
allontanato sempre più dalla visione cartesiana, cioè dall’Occidente degli
ultimi tre secoli, e tutto ha avuto origine nel metodo scientifico, che è il
più accettato dall’Occidente stesso.
Il cambiamento può essere riconosciuto nella
sequenza: Relatività–Fisica quantistica – Indeterminazione – Dinamica dei
sistemi complessi – Mente degli esseri senzienti.
Il mondo non è un orologio, ma un grande
Pensiero, dove imperano l’instabilità, le biforcazioni e l’effetto-farfalla. Il
mondo è creativo, imprevedibile e indeterminato, come il Grande Spirito.
Qualunque entità, qualunque processo ha il suo grado di libertà. La concezione
che tutta la Natura è anche Mente, che richiama le idee animiste-panteiste di
molte culture umane del passato, è incompatibile con l’attuale civiltà industriale,
in cui si richiede una manipolazione di materia “inerte”. Un’entità ternaria,
mente-energia-materia, si evolve senza leggi prefissate: è la Natura stessa. Possiamo
avere molte scale di valori, ma al primo posto dobbiamo mettere la vita della
Biosfera, da cui dipendiamo. L’etica della Terra non è solo una visione
filosofica, ma la necessità di tenere in buona salute l’Organismo cui
apparteniamo, insieme alle altre specie, agli ecosistemi, al mare, ai fiumi e
alle montagne.
Oggi sappiamo
cosa è l’uomo: è un animale, completamente integrato nei cicli della Natura: si
alimenta, cresce, ha figli e muore come tutti gli altri mammiferi. Anche il suo
comportamento è molto simile. La differenza di informazione genetica fra l’uomo
e lo scimpanzé è inferiore all’uno e mezzo per cento.
La percezione
della completa appartenenza della nostra specie alla Natura doveva essere fonte
di grande serenità, ci ha liberato da un
peso opprimente. Ma così non è stato nella cultura occidentale, almeno per ora.
Nel linguaggio corrente, nell’etica, nelle leggi, l’idea di umanità è ancora contrapposta a quella
di animalità.
Nella cultura occidentale, e perciò
oggi in quasi tutto il mondo, la nostra specie è vista ancora non come
una parte della Biosfera, ma come un elemento esterno, cui viene riferito ogni valore. I cosiddetti “ambientalisti”
dicono di “tenere pulita la nostra casa”, conservare la Terra per le future
generazioni, e così via. L’uomo è sempre il riferimento ovvio. Invece oggi
sappiamo che l’uomo non è nella situazione
di abitante di una casa, ma è come un insieme di cellule in un Organismo,
da cui dipende totalmente. L’Ecosistema Totale è un Organismo e non “l’ambiente dell’uomo”. Questa
situazione non è stata ancora recepita dalla filosofia occidentale: nessuna
istituzione o associazione ufficiale o norma civile ne tiene conto.
La posizione “esterna” dell’umanità,
esportata in tutto il mondo sull’onda della tumultuosa espansione
dell’Occidente, è il sottofondo di pensiero che ha causato i gravissimi problemi
che ci troviamo davanti. L’idea di uomo esterno e al di sopra dell’Ecosistema
ha causato anche la drammatica sovrappopolazione umana che affligge la Terra e
l’enorme crescita dei consumi degli ultimi due secoli.
I mali del mondo
sono stati causati dalla visione antropocentrica. L’unica vera soluzione è
abbandonarla: dobbiamo sviluppare una visione ecocentrica.
Invece
del Dio-Persona distinto dal mondo e giudice delle azioni umane, troviamo il
Dio-Natura immanente in tutte le cose, e quindi anche in noi stessi, che ne
siamo partecipi. La Divinità osserva sé stessa anche attraverso gli occhi di
una marmotta, o di una formica, o l’affascinante e misteriosa sensibilità di un
albero.
In definitiva, l’Ecologia Profonda si basa sulla situazione
reale e su studi approfonditi di scienziati e filosofi, come ad esempio:
Gregory Bateson, Fritjof Capra, Rupert Sheldrake, Arne Naess, Konrad Lorenz, Ilya Prigogine (due premi Nobel), Lynn Margulis, Gary Snyder, Aldo Leopold, Jane Goodall, Frans de Waal, Irene Pepperberg, e molti altri.
Gregory Bateson, Fritjof Capra, Rupert Sheldrake, Arne Naess, Konrad Lorenz, Ilya Prigogine (due premi Nobel), Lynn Margulis, Gary Snyder, Aldo Leopold, Jane Goodall, Frans de Waal, Irene Pepperberg, e molti altri.
Riassumendo, abbiamo parlato di queste
tendenze:
- Mente e
materia non sono separabili;
- In tutti i
sistemi complessi si ha l’emergenza di fenomeni mentali;
- Le
biforcazioni-instabilità sono “scelte”;
- Il comportamento di un sistema complesso è completamente imprevedibile oltre un certo orizzonte temporale, che è sempre una quantità finita, poi avviene una scelta, il che significa la presenza di una mente in tutte le entità naturali;
- Il comportamento di un sistema complesso è completamente imprevedibile oltre un certo orizzonte temporale, che è sempre una quantità finita, poi avviene una scelta, il che significa la presenza di una mente in tutte le entità naturali;
- Tutti gli
esseri viventi sono sistemi complessi;
- Anche gli
ecosistemi sono esseri senzienti;
- Esistono esseri collettivi;
- La mente è ovunque. C’è un’ Anima nel Mondo;
- Esistono esseri collettivi;
- La mente è ovunque. C’è un’ Anima nel Mondo;
- L’Inconscio
collettivo è un Inconscio Ecologico che si estende a tutti gli esseri senzienti
e alle relazioni con tutto il mondo che qualcuno chiama “inanimato”;
- Non
esistono confini precisi;
- L’Ecologia Profonda si basa su nuove tendenze del pensiero scientifico e non è “misticismo”. L’aspetto spirituale è essenziale nella visione del mondo dell’Ecologia Profonda.
- L’Ecologia Profonda si basa su nuove tendenze del pensiero scientifico e non è “misticismo”. L’aspetto spirituale è essenziale nella visione del mondo dell’Ecologia Profonda.
Per approfondire:
Settembre 2014